lunedì 10 marzo 2014

Storia di Rina Cavalieri, classe 1914…

CUOR

testo e regia Sandra Mangini
con Eleonora Fuser

visto al Teatro a l’Avogaria – Venezia il 9/03/2014
recensione apparsa su www.teatro.org
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Ci sono persone che racchiudono nella loro storia personale storie molto più grandi, nelle quali riconoscersi è un processo semplice e liberatorio insieme. Sono storie di persone piccole, ma speciali, la cui umanità oscilla tra sofferenza quotidiana e leggerezza, quella leggerezza che, unica, ti fa comprendere ciò che può essere davvero importante e ciò che invece faresti meglio a dimenticare.

La storia di Clementina Cavalieri, detta Rina, è una di queste. E’ una storia che viene da lontano, dalle viscere profonde di una Venezia popolare che ha attraversato il sogno imperialistico di Mussolini, poi la guerra, poi ancora l’occupazione tedesca, infine la liberazione, e in ognuno di questi passaggi si è ritrovata ferita, dilaniata e tradita. Rina è una donna minuta, ma forte come mai nessuno, al punto che non le sarebbe dispiaciuto nascere uomo, come un uomo fa prove di forza, solleva una tavola di marmo con la bocca, come un uomo, o meglio, come avrebbe dovuto fare un uomo, affronta gli alti gradi della gerarchia tedesca, Hoffmann, il padrone di Venezia, e gli sbatte in faccia la sua condizione di donna sola, di madre con due figli da sfamare, di essere umano pronta a tutto. E Rina è davvero pronta a tutto, a vendicare l’olio di ricino inflitto al padre, ad intervenire per difendere un uomo solo circondato da soldati americani che se lo palleggiano come un birillo, a mettere sotto sopra reparti di un intero ospedale perché a una povera donna anziana venga data dignitosa sistemazione.

Cuor, lo spettacolo scritto e diretto da Sandra Mangini, andato in scena al Teatro a l’Avogaria di Venezia, esplora il mondo di questa infilatrice di perle, mestiere che Rina eredita dalla madre, mantenendosi in bilico tra il ritratto della donna che senza paura sfida ogni tipo di ingiustizia e una Rina invece più intima e privata, nella quale i momenti di fragilità completano il quadro di una figura complessa e sfaccettata. In scena Eleonora Fuser cavalca e doma la sua Rina, lasciandola andare a briglia sciolte nei momenti in cui interagisce con il pubblico o quando dietro una piccola ribaltina montata in proscenio si esibisce nei più noti successi di Beniamino Gigli illuminando per un attimo la sua vita come quella di un’artista di varietà, ma trattenendola poi nei momenti in cui sono le pieghe più profonde della sua anima a dover trovare respiro, in ginocchio davanti alle caldaie dove è stata destinata, nera di fumo e di caligine, come una mater dolorosa guarda con coraggio a quello che ancora potrà venire.

Lo spettacolo rinuncia a qualsiasi retorica, Rina non è un eroe, un capo popolo o una mestierante delle masse, Rina è l’essere umano radiografato nella sua essenzialità, nella sua mescolanza di bene e male, a volte difficile da discernere, benché è proprio in tale mescolanza che contraddittorietà e grandezza di ogni umana creatura trovano posto.

Lo spettacolo dunque procede senza retorica, ma affidandosi alla forza del linguaggio, con cui la Fuser gioca come un funambolo ad alta quota. E’ uno spettacolo di affabulazione questo, l’elemento narrativo prevale su quello diegetico raccogliendo energie da un dialetto corposo, concreto, dove ogni sonorità schiude livelli semantici insospettabili. Il gioco della tombola, con cui si apre e chiude la messa in scena, tanto caro nella realtà alla protagonista, diventa pretesto per mettere in piedi modi di dire, espressioni proverbiali e pittoresche, scampoli di saggezza popolare, per aggiungere insomma quel sapore di verità indispensabile quando non si ha la pretesa di raccontare storie fini a se stesse, ma storie di uomini e di donne in carne e ossa.