domenica 9 marzo 2014

LA VITA NON E' UNA NAVE PIRATA

IDOLI

drammaturgia di Gabriele di Luca
con Gabriele Di Luca, Giulia Maulucci, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

visto al Teatro Goldoni di Venezia  8/8/2014
recensione pubblicata su www.teatro.org






Lo diciamo subito e senza giri di parole. Idoli di Carrozzeria Orfeo, nato in coproduzione con Centro Rat-Teatro dell’Acquario e con il contributo del Teatro Stabile del Veneto, è uno spettacolo onesto, di quell’onestà assolutamente non prevedibile sul palcoscenico di un teatro stabile, come può essere il Goldoni di Venezia.
Uno spettacolo onesto perché scevro da angoscianti spasimi intellettuali, perché tenero e barbaro insieme, perché infine desolatamente contemporaneo. Una scrittura incisiva, scabra ed essenziale, che però mai si ripiega su se stessa e soprattutto mai autoreferenziale. E’ la forza questa di una scrittura, che parte da Gabriele Di Luca, ma che diventa subito collettiva, evitando così il conflitto esclusivamente verbale e la dimensione monologante, aprendosi invece alle tante voci di una microsocietà qualunque: una coppia, una famiglia, un nipote e un nonno, sono questi i protagonisti tra i quali trovano posto noia di vivere, apatia morale, vuoto interiore, rabbia e frustrazioni.


Gabriele Di Luca, che firma con Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi anche la regia, con loro in scena ci sono Giulia Maulucci e Beatrice Schiros, dipana un percorso crudele e grottesco tra i nuovi vizi del modernismo: violenza, xenofobia, nichilismo la fanno da padroni nella misera esistenza di due giovani sbandati che nella prima scena dello spettacolo si disputano le ceneri della fu nonna di lei, finché l’urna di terracotta si sbriciola a terra lasciando che il contenuto/reliquia si confonda con il sudiciume del pavimento. Un’esistenza polverizzata, come quella della nipote del resto che teneva in ostaggio le ceneri per ricattare sua madre, che una compita donna di casa, all’inizio della scena successiva, provvederà a lavare via armata di secchio e spazzolone. Siamo in un interno borghese, adesso, un semplice divano ikea marca tale nuova condizione, dove si consuma una lotta intestina tra i due coniugi a colpi di conti da saldare e penose velleità sociali, intorno alle quali si aggira il vecchio nonno, costretto sulla sua sedia a rotelle, malato di mille malattie, fantasioso capitano di una nave pirata dove tutto può accadere, consapevole che la pensione misura della propria esistenza. Nella stanza di sotto, perennemente incollato alle video chat sta il figlio/nipote, inetto come suo padre, vittima dei soprusi altrui che mitizza come propri ai danni degli altri, si innamora di una dolce fanciulla, quella della prima scena per intenderci, che gli spilla denaro dalla carta di credito, perché questo è il suo mestiere, si vende ai guardoni della rete e vorrebbe rifarsi il seno per vendersi meglio, ma i soldi glieli ha fregati la madre per rifarsi il seno a sua volta.
E’ il vuoto esistenziale il protagonista di questa messa in scena, un vuoto che precipita nell’abisso quando, dinnanzi all’albero di Natale/totem, tutti i personaggi, in una sorta di danza propiziatoria e frustrante insieme, cercano di alzarsi dalle loro sedie a rotelle, ma non riescono, come se una forza misteriosa ed elastica, dopo averli illusi, li rispedisse a sedere. E’ il basso, il ventre, l’oscenità a tenere in pugno l’uomo.
Nell’ultima scena ritroviamo la coppia dell’inizio, una discussione banale, una colluttazione violenta segna la fine della storia. Lui, con una bottigliata, diretta e meccanica, quasi frutto di una naturalezza alienante, uccide lei. E’ allora che l’abbraccia e comincia con lei una danza che, il cerchio si chiude, ci riporta all’apertura di sipario, quando li avevamo già visti danzare quei due: lei è senza vita, inerme, lui è forte e balla anche per lei, in un silenzio di parole ma anche di coscienza, mentre dall’alto arrivano piccoli fiocchi di neve e una musica struggente e aggressiva insieme, le musiche originali sono dello stesso Massimiliano Setti, accompagna le luci che si chiudono su di loro.
E’ questa dunque la vita nell’epoca delle web cam. Vuoto, noia, assenza. Niente a che fare con la nave pirata del nonno.