giovedì 28 marzo 2013

UNA VENEXIANA DAL SAPORE DI COMMEDIA ALL'ITALIANA



LA VENEXIANA
di  Anonimo del '500

con Andrea Zanforlin, Letizia E.M. Piva, Licia Navarrini, Beatrice Bello, Laura Cavinato, Paolo Rossi

regia di Gabbris Ferrari

vista al Teatro a l'Avogaria - Venezia il 26/03/2013




La Venexiana è sicuramente uno dei testi più interessanti del panorama teatrale italiano del Rinascimento e anche, sotto molti punti di vista, da quello strettamente drammaturgico a quello linguistico, la mescolanza per esempio di veneziano e bergamasco, profondamente innovativo. Tuttavia, ci sembra di poter affermare senza paura di essere smentiti, non sono questi gli aspetti che l’hanno resa così popolare negli ultimi decenni sulle scene italiane e, chiaramente, nella nostra cinematografia, il pensiero va, è chiaro, a Mauro Bolognini e alle interpretazioni di Laura Antonelli e Monica Guerritore. Con buona pace di Roberto Alonge che individua nell’alternarsi di scene all’aperto e scene di interno la grande novità dell’impianto drammaturgico di quest’opera anonima, rispetto alla tendenza cinquecentesca di immaginare ogni storia nel pubblico spazio di una piazza, è invece la carica erotica e la maliziosa sensualità che pervadono l’intera vicenda ad aver regalato a La Venexiana il successo di pubblico che si riscontra ad ogni sua messa in scena. E così è accaduto anche per la coproduzione dei Minimiteatri e del Teatro Sociale di Rovigo, firmata nella regia da Gabris Ferrari, vista al Teatro a l’Avogaria di Venezia a chiusura della rassegna dei Martedi dell’Avogaria. Una sala piena, come mai forse si era vista nel corso dei precedenti appuntamenti, e spettatori sprovvisti di prenotazioni costretti a rinunciare alla loro serata a teatro.
La storia di Iulio, giovane foresto che dalla Lombardia sbarca a Venezia per sfuggire alla propria indigenza grazie alla sua avvenente prestanza, che seduce e sfrutta le voglie erotiche della vedova Anzola e della giovane maritata Valeria in un tourbillon di incontri notturni e raggiri intriganti, appassiona e solletica la fantasia del pubblico, complice una Venezia che, pur rimanendo sullo sfondo, è pur sempre il legame che tiene avvinti i personaggi tra loro. Ferrari, con intelligenza, ce la lascia intravvedere, quasi sorniona e assente, ma al tempo stesso tollerante e benevola nei confronti delle passioni che si scatenano e che costituiscono il motore ultimo del meccanismo scenico. Gli abboccamenti di Iulio con Anzola e Valeria, aiutate da Nena, Oria e Bernardo, sono infatti l’unica traccia che segna la vicenda, una vicenda, in questo, essenziale e scarna che trova sponda nell’impianto scenico costituito da un semplice letto sistemato al centro del palcoscenico e una serie di praticabili, a prolungamento del palco, di diverse altezze e collegati da scalette su cui si muovono gli attori. Il grande materasso del letto, un double face bianco e nero, viene invece rigirato a seconda che ci si trovi nella casa dell’una o dell’altra amante. Con questi semplici interventi Ferrari costruisce e differenzia gli spazi, permettendo ai suoi attori grande libertà di movimento e offrendo agli spettatori una lettura immediata dello svolgersi delle azioni. Tuttavia, l’immaginario erotico e sensuale dell’opera viene giocato con un eccesso di ammiccamenti al compiacimento del pubblico, con attori quasi sempre sopra le righe alla ricerca di un effetto immediato e dal sapore contemporaneo: la scena in cui Anzola spoglia Iulio perde gran parte della sua sensualità a vantaggio di una frenesia da commedia all’italiana degli anni ’80 o ancora l’imbarazzante ululato di Iulio nel momento in cui Valeria si spoglia e gli mostra l’intero repertorio delle sue grazie. Così come le luci rosse di taglio sul lettone, in quella che si profila come una sorta di ammucchiata finale, rendono ancor più esplicito, semmai ce ne fosse stato bisogno, un erotismo da camera da letto piuttosto fine a se stesso. Malgrado, dunque, qualche sbavatura, lo spettacolo procede nell’insieme godibile e accattivante, condotto con sicurezza dagli attori che, cosa abbastanza rara sui nostri palcoscenici, si ascoltano e si cercano, rinunciando sapientemente ad inutili picchi istrionici. Da questa Venexiana, infatti, esce vittorioso il gruppo, affiatato e omogeneo, che esegue una partitura senza meccanicismi, ma con brillante consapevolezza interpretativa. Lunghi applausi finali degli spettatori, atmosfera calda e coinvolgente nel piccolo teatro di Dorsoduro, dove il direttore, Stefano Poli, ci promette una nuova stagione dei Martedì dell’Avogaria anche per l’anno prossimo.