lunedì 18 novembre 2013

PASOLINI E LA ROMA CHE NON C’E’ PIU’

MATUTA TEATRO
IN

GARBATELLA

di e con Julia Borretti e Titta Ceccano
musiche in scena Roberto Caetani
regia Julia Borretti

visto il 5 novembre 2013
Teatro a l’Avogaria - Venezia

recensione apparsa in www.teatro.org

download Matuta Teatro apre con Garbatella il ciclo dei Martedì dell’Avogaria nel glorioso teatro veneziano di Corte Zappa che continua, a dispetto dei tagli alle già scarse risorse finanziarie, a rappresentare un presidio vitale per il teatro nella città lagunare, una sorta di ultima Tule per chi pensa e progetta ancora un teatro costantemente in bilico tra ricerca e tradizione. Nel rispetto di questa cifra, dunque, anche l’edizione 2013 dei Martedì, con il Pasolini di Una vita violenta nella drammaturgia di Titta Ceccano e Julia Borretti ad aprire la strada.... Garbatella è innanzitutto una storia, storia d’amore delicata e intensa al tempo stesso tra Tommaso e Irene, figli di una Roma che non c’è più, stretta tra un dopoguerra di fame e ricostruzione, che se ne va a spasso tra anonimi condomini periferici e viali luminosi del centro. In scena solo una fila di sedie di legno, di quelle scomode e cigolanti di un cinema anni cinquanta, un totem della memoria che definisce uno spazio preciso, nel quale i due protagonisti si muovono mentre la storia si compone davanti ai nostri occhi in un intreccio di linguaggi sincopati e visionari. E’ la narrazione la forza di questo spettacolo, la parola che diventa fabula al centro della riflessione scenica. Titta Ceccano comincia il suo racconto da seduto, quasi si trattasse di evocarla questa storia, di condividerla intimamente e poco importa che ciò accada in un teatro o intorno alla brace scoppiettante di un camino, una storia è comunque una storia e vale la pena raccontarla, ma tutte le storie hanno bisogno pur sempre di un inizio e sarà il “cominciamo” che esclama la Borretti passando dalla platea al palcoscenico, rompendo e ricostruendo al tempo stesso la quarta parete, il segno d’intesa che lega tra loro narratore e ascoltatori. Tommaso si guadagna da vivere con lavoretti saltuari, ha i tratti del bullo ma anche un codice morale molto personale, Irene sogna con Silvana Mangano e Quo Vadisse, è l’unico modo che ha per evadere da un padre troppo rigido e da convenienze sociali asfissianti. I due si trovano per caso, galeotta una retata degli accalappiacani, e nel buio del cinematografo Tommaso riesce a disinnescare le ritrosie della ragazza, nasce l’amore, un amore di borgata, con stornelli a fare da serenata, lame di coltello tra pretendenti, fuga, carcere e promesse di matrimonio. Matuta Teatro sceglie di lavorare sulla parola, Ceccano e Borretti sono in due ma sulla scena si moltiplicano, sono al tempo stesso narratori esterni, semplici riportatori di fatti, ma poi sono Tommaso e Irene che si conoscono e si parlano, infine ancora Tommaso e Irene che raccontano di loro stessi. Il registro del linguaggio diventa spia di ognuno di questi cambiamenti, il romanesco di piotta, smiccià, paccà e paglia si mescola a quell’italiano regionale che lo stesso Pasolini indicava come unica possibilità espressiva per la nostra lingua, formando un melting pot linguistico di grande suggestione scenica che ha conquistato gli spettatori veneziani, strappando a più riprese risate e applausi. Come la storia di Tommaso e Irene, così anche l’operazione linguistica di Matuta Teatro scavalca continuamente i confini del tragico e del comico, li confonde tra loro ottenendo una vis comunicativa che strizza l’occhio al realismo ma tocca con leggerezza anche la parola poetica. La chitarra di Roberto Caetani, intanto, mescola el negro zumbon della Mangano con stornellate romane fino a incursioni in improbabili blues dal ritmo incalzante. Il risultato è uno spettacolo delicato e pieno di verve, con Titta Ceccano che incarna un Tommaso scalpitante e ribelle, mentre Julia Borretti è una Irene segnata di ruvida grazia.