SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
per corpi e ombre
da A Midsummer Night's Dream
di Felix Mendelsshon-Bartolhdy
con Ina Broeckx; Maria Focaraccio, Valerio Iurato, Walter Matteini, Armando Rossi
regia e scene Fabrizio Montecchi
coreografia Walter Matteini
maschere e sagome Nicoletta Garioni
costumi Corinne Lejeune
luci Cesare Lavezzoli
visto al Teatro Goldoni di Venezia il 24/01/2014
recensione apparsa su www.teatro.org
Gli
spettatori si accomodano in sala, mentre sulla scena cinque ballerini
si attardano nei loro esercizi di riscaldamento, gettando
distrattamente un occhio al pubblico che va riempiendo platea e
loggioni.
Il
Sogno di una notte di mezza estate del Teatro Gioco Vita comincia
cosi’, come una performance degli anni ’70, come se sul palco, ad
accogliere il pubblico, ci fosse ancora Julian Beck e il suo Living.
Invece no, non è una performance da teatro rivolta, questa, anzi
qualcosa di esattamente opposto allo svelamento dei meccanismi
scenici e alle prerogative di un teatro a vista cosi’ in
voga nella ricerca teatrale di quegli anni.
Questo
Sogno è un’opera, come recita il sottotitolo, per luci ed ombre e
come tale rapisce lo spettatore e lo deposita nel bosco che Puck si
diverte a incantare e irretire nella sua magia, nulla viene svelato,
le strane e fantastiche creature che popolano la scena sono il frutto
delle sapienti invenzioni e della maestria di Nicoletta Garioni e
Federica Ferrari, le sagome e le maschere, colpite, rifratte
e scomposte dal disegno luci di Cesare Lavezzoli diventano una
giostra di colori e forme, di profondità e profili cangianti che
dilatano lo spazio, lo sezionano e infine lo moltiplicano accentuando
il gioco illusorio. Dunque, lo spettatore si lascia immergere in
questa magnifica illusione e neanche per un istante ha la tentazione
di sfondare la quarta parete per vedere cosa si celi dietro ciò che
vediamo. C’è una dimensione quasi cinematografica in questa estasi
illusoria, una dimensione da cinematografia primordiale, quella dei
superotto casalinghi, per intenderci, con la pellicola che sbatte sul
proiettore e accompagna la visione con il suo caratteristico rumore,
quella da cinema Paradiso, per non lesinare esempi, quando appunto il
cinema poteva essere un sogno, magari sbavato e rumoroso, e non
l'esito di una nitida e fredda perfezione fotografica che ha
sacrificato la luce e, per l'appunto, le ombre.
Di
che cos’altro infatti sono impastati i sogni? La domanda
shekeasperiana per eccellenza, quella che investe anche l’uomo,
ombra egli stesso di un sogno come recita Pindaro nel suo
famosissimo verso, trova in questa messa in scena, se non una
risposta, quanto meno comprensione: vivere appieno un sogno significa
navigare nella luce in attesa che le ombre ci facciano compagnia con
la loro vana inconsistenza, inseguire quello che appare ma che non è,
giocare infine a rimpiattino con se stessi e gli altri scomponendosi
e ricomponendosi in mille modi, per poi scoprire che essenza del
sogno stesso è non stringere nulla di eterno nel palmo della propria
mano.
Ecco perché la scelta, in ogni senso condivisibile, di spogliare il
testo del bardo di Standford dalle storie di Teseo e Ippolita,
lasciando a Puck il solo compito di seguire l’amore delle due
coppie, Ermia e Lisandro, Demetrio e Elena, risulta vincente e
funzionale all’idea tanto della regia di Fabrizio Montecchi, che
firma anche le scene, quanto della coreografia di Walter Matteini.
L’amore è l’essenza stessa del sogno, monopolizza ogni nostra
illusione vitale, ogni progettualità ed ecco allora che in scena le
vicende amorose delle due coppie, che si separano e si mescolano fino
a tornare nella loro originaria composizione, sono fulcro della
storia, ma anche del sogno stesso.
Ina
Broeckx, Maria Focaraccio, Valerio Iurato, Walter Matteini e Armando
Rossi amplificano e riducono la loro fisicità, i corpi si sciolgono
nell'ombratile presenza degli spiriti del bosco e le ombre ritrovano
poi consistenza riemergendo nelle forme della realtà corporea, con
movimenti a tratti nervosi e pieni, a tratti invece sinuosi e
certamente più astratti. Il gioco tra uomini e ombre si dipana per
tutto lo spettacolo, senza mai concedere attimi di tregua, mentre la
partitura sonora di Félix Mendelssohn-Bartholdy offre ulteriori
punti di accesso al bosco magico e alle illusioni messe in pratica da
Puck. Ne risulta uno spettacolo equilibrato, intenso e accattivante,
fino a quando quella magia, che ha costretto cinque semplici
ballerini in tuta da lavoro a trasformarsi nei personaggi del Sogno,
si dissolve restituendo allo spettatore una dimensione dove la realtà
è padrona assoluta e il sogno bisogna raccattarselo come poveri
mendicanti.