IDOLI
drammaturgia di Gabriele di Luca
con Gabriele Di Luca, Giulia Maulucci, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
visto al Teatro Goldoni di Venezia 8/8/2014
recensione pubblicata su www.teatro.org
Lo diciamo subito e senza giri di
parole. Idoli di Carrozzeria Orfeo, nato
in coproduzione con Centro Rat-Teatro dell’Acquario e con il contributo del
Teatro Stabile del Veneto, è uno spettacolo onesto, di quell’onestà assolutamente
non prevedibile sul palcoscenico di un teatro stabile, come può essere il
Goldoni di Venezia.
Uno spettacolo onesto perché scevro
da angoscianti spasimi intellettuali, perché tenero e barbaro insieme, perché infine
desolatamente contemporaneo. Una scrittura incisiva, scabra ed essenziale, che però
mai si ripiega su se stessa e soprattutto mai autoreferenziale. E’ la forza
questa di una scrittura, che parte da Gabriele Di Luca, ma che diventa subito
collettiva, evitando così il conflitto esclusivamente verbale e la dimensione monologante,
aprendosi invece alle tante voci di una microsocietà qualunque: una coppia, una
famiglia, un nipote e un nonno, sono questi i protagonisti tra i quali trovano
posto noia di vivere, apatia morale, vuoto interiore, rabbia e frustrazioni.
Gabriele Di Luca, che firma con Massimiliano
Setti, Alessandro Tedeschi anche la regia, con loro in scena ci sono Giulia
Maulucci e Beatrice Schiros, dipana un percorso crudele e grottesco tra i nuovi
vizi del modernismo: violenza, xenofobia, nichilismo la fanno da padroni nella
misera esistenza di due giovani sbandati che nella prima scena dello spettacolo
si disputano le ceneri della fu nonna di lei, finché l’urna di terracotta si
sbriciola a terra lasciando che il contenuto/reliquia si confonda con il
sudiciume del pavimento. Un’esistenza polverizzata, come quella della nipote
del resto che teneva in ostaggio le ceneri per ricattare sua madre, che una
compita donna di casa, all’inizio della scena successiva, provvederà a lavare
via armata di secchio e spazzolone. Siamo in un interno borghese, adesso, un
semplice divano ikea marca tale nuova condizione, dove si consuma una lotta
intestina tra i due coniugi a colpi di conti da saldare e penose velleità
sociali, intorno alle quali si aggira il vecchio nonno, costretto sulla sua
sedia a rotelle, malato di mille malattie, fantasioso capitano di una nave pirata
dove tutto può accadere, consapevole che la pensione misura della propria
esistenza. Nella stanza di sotto, perennemente incollato alle video chat sta il
figlio/nipote, inetto come suo padre, vittima dei soprusi altrui che mitizza
come propri ai danni degli altri, si innamora di una dolce fanciulla, quella
della prima scena per intenderci, che gli spilla denaro dalla carta di credito,
perché questo è il suo mestiere, si vende ai guardoni della rete e vorrebbe
rifarsi il seno per vendersi meglio, ma i soldi glieli ha fregati la madre per
rifarsi il seno a sua volta.
E’ il vuoto esistenziale il
protagonista di questa messa in scena, un vuoto che precipita nell’abisso
quando, dinnanzi all’albero di Natale/totem, tutti i personaggi, in una sorta
di danza propiziatoria e frustrante insieme, cercano di alzarsi dalle loro
sedie a rotelle, ma non riescono, come se una forza misteriosa ed elastica, dopo
averli illusi, li rispedisse a sedere. E’ il basso, il ventre, l’oscenità a
tenere in pugno l’uomo.
Nell’ultima scena ritroviamo la
coppia dell’inizio, una discussione banale, una colluttazione violenta segna la
fine della storia. Lui, con una bottigliata, diretta e meccanica, quasi frutto
di una naturalezza alienante, uccide lei. E’ allora che l’abbraccia e comincia
con lei una danza che, il cerchio si chiude, ci riporta all’apertura di
sipario, quando li avevamo già visti danzare quei due: lei è senza vita,
inerme, lui è forte e balla anche per lei, in un silenzio di parole ma anche di
coscienza, mentre dall’alto arrivano piccoli fiocchi di neve e una musica
struggente e aggressiva insieme, le musiche originali sono dello stesso
Massimiliano Setti, accompagna le luci che si chiudono su di loro.
E’ questa dunque la vita nell’epoca
delle web cam. Vuoto, noia, assenza. Niente a che fare con la nave pirata del
nonno.