A VENEZIA IL MERCANTE E' SLAVO
IL MERCANTE DI VENEZIA
di William Shakespeare
con Silvio Orlando
e Popular Shakespeare Kompany
regia Valerio Binasco
visto al Teatro Goldoni di Venezia il 17/10/2014
recensione apparsa su www.teatro.it
Ancora una volta, dopo aver visto
Il Mercante di Venezia per la regia di Valerio Binasco, ci troviamo di fronte
alla solita domanda: come mettere in scena oggi un classico?
Che sia Shakespeare
o Gogol o Goldoni il risultato sembra non cambiare, la via prescelta è l’eccesso,
la modernizzazione pacchiana, l’occhiolino alla televisione, l’ammasso di
codici e di ridondanze.
Nel caso specifico le ridondanze si chiamano gag.
Tutta la messa in scena di questa
“cupa contro-favola”, come spiega Binasco nelle sue note di regia, è segnata da
un rincorrersi di gag e di interventi machiettistici, dal Lancillotto Gobbo in
formato Macario/Buster Keaton alla Porzia Barbie in abito confettino, dallo
scarico dello sciacquone che Shylock tira dopo aver riflettuto sull’opportunità
di concedere il prestito di tremila ducati a Bassiano fino ai siparietti di
Nerissa che al suono del suo grammofono improvvisa ancheggiamenti da
avanspettacolo.
D’altronde, è sempre Binasco a
precisarlo nel programma di sala, “… noi dobbiamo fare del mercante una grande
favola, e una festa del teatro. Cioè della speranza”. E dunque per questa grande
festa del teatro che veniamo sommersi per quasi tre ore di spettacolo da gag di
cui forse anche Totò stenterebbe a riconoscere la paternità, come quando uno
dei personaggi batte distrattamente sul tavolo le nocche e poi si volta alle
sue spalle per vedere chi ha bussato? E’ perché “la vita può essere lo stesso
una festa”, Binasco dixit, che subiamo costumi da cartoon, coriandoli a
profusione, i tratti cutoliani del buon Antonio, il melting pot improbabile dei
dialetti di Lorenzo e Graziano?
Sì, sarà per questo, sarà perché “è l’ora
stramba del teatro, quando sorge una luna di carta, e il vento accarezza le
foglie senza fare alcun rumore”, ancora Binasco ancora il programma di sala, sì
dev’essere sicuramente per questo, è l’unica non-spiegazione che si può per
davvero accettare.
E sarà sempre per lo stesso
motivo, Mercante di Venezia= festa del teatro, che il nostro Shylock affronta
la sua penosa e incredibile vicenda biascicando le sue ragioni in una
terrificante cadenza slavoalbanese, nella quale Silvio Orlando si muove come il
noto elefante che, chissà perché, si trova proprio in una cristalleria? E chissà
perché Shylock deve parlare proprio così e chissà perché Silvio Orlando deve sacrificare
le sue chances attoriali sull’altare di una goffa impalcatura linguistica che
non gli appartiene. Non gli appartiene al punto che spesso ne ruzzola giù, lasciando
trapelare la freschezza e la veridicità del suo partenope language che tutti in sala, ne sono sicuro, avrebbero
apprezzato, ma che, per insondabili motivi, è stato accuratamente sepolto.
Il risultato
a quel punto è scontato: sulla scena c’è uno Shylock falso, povero sul piano
espressivo e mortificante su quello interpretativo.
Gli altri interpreti, facenti
parte della Popular Shakespeare Kompany che ha avuto il suo battesimo ufficiale
con La Tempesta al Festival Shakespeariano di Verona nel 2012, per lo più
gridano a squarciagola, esibiscono una retorica vocale che mal si accorda con l’impianto
moderno della messe in scena, si compiacciono delle trovate che, e ben si
vedeva, in molti casi sono frutto dell’improvvisazione del momento.
Che dire? Per fortuna c’è ancora
Shakespeare e la potenza di un testo che, soprattutto nella lunga scena del
processo, tiene alta attenzione e tensione, per fortuna ci sono le luci di
Pasquale Mari rigorose e delicate e per fortuna ci sono le musiche di Arturo Annecchino
che sono, come sempre, una spanna oltre.