L'ISPETTORE GENERALE
di Nikolaj Vsil'evic Gogol
adattamento drammaturgico e regia Damiano Michieletto
con Alessandro Albertin, Silvia Paoli, Eleonora Panizzo, Fabrizio Matteini, Alberto Fasoli, Michele Maccagno, Alessandro Riccio, Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Stefano Scandaletti, Pietro Pilla
visto al Teatro Goldoni di Venezia 31/01/2014
In una sudicia e sperduta
cittadina russa una cricca di loschi e patetici figuri scambiano un giovane
impiegato del ministero per l’ispettore generale inviato dal governo centrale. Il
risultato sarà l’irriverente e atroce satira con cui Gogol tratteggia l’intoccabile
burocrazia zarista incarnata da una piramide di potere che dal Podestà arriva
fino all’ufficiale postale e che ha come contraltare lo spiantato Chlestakov, che,
da falso ispettore, si lascia corrompere a sua volta dai funzionari corrotti.
Tutto qui. Un equivoco, niente di
più. Capace però di generare quel capolavoro che la critica letteraria russa,
dopo una prima tiepida accoglienza, riterrà perfino superiore a Molière. La furberia
di Osip, la scrocconeria di Chlestakov, i ridicoli sotterfugi di Anton
Antonovic, podestà di ultima serie e truffatore dilettante, la fatua vanità di
Andreevna sua moglie, moltiplicano l’equivoco iniziale indagando quella
particolare tendenza della coscienza umana che è la disponibilità ad ogni forma
di compromesso.
Un vizio, non una condizione. Un vizio
su cui anche un uomo mite e religioso come Gogol poteva permettersi di
sorridere.
Ecco che invece Damiano Michieletto,
nella messinscena di cui firma l’adattamento drammaturgico (quale?) e la regia,
per una coproduzione del Teatro Stabile del Veneto e Teatro Stabile dell’Umbria,
nell’ansia di dare sostanza al suo pedigree di enfant prodige della scena
italiana e compiaciuto per aver intuito il grottesco che si cela nella vicenda,
costruisce uno spettacolo dove il grottesco più che cogliere l’assurdità dei personaggi
gogoliani resta appiccicato agli attori che li interpretano, all’impianto
scenico dove tutto è esattamente così come si vede in una miscela di finto realismo
piuttosto sconcertante, all’idea stessa, infine, che sottende l’intera
operazione, l’idea cioè di una dissacrazione che però non ha il coraggio di
essere tale fino in fondo.